L’Afghanistan è in guerra da oltre 40 anni e la maggior parte della sua popolazione non ha mai vissuto in un contesto di pace. Il protrarsi delle violenze impedisce lo sviluppo del Paese, impoverendo i meccanismi di ripresa della popolazione. Negli ultimi anni, il conflitto ha determinato un progressivo aumento delle persone sfollate: già alla fine del 2019 se ne contavano 2,6 milioni.
La situazione odierna vede il Paese al collasso dopo la conquista di Kabul da parte dei Talebani, donne, uomini e bambini rischiano la vita. Negli ultimi giorni su tutti i giornali, le televisioni e i social network vediamo scorrere video, immagini e notizie di un Paese che ci sembra così lontano eppure è così vicino. Abbiamo visto il terrore delle donne e delle bambine, le loro immagini sparire dai cartelloni pubblicitari nelle strade e il sogno di un futuro libero sgretolarsi. Abbiamo visto file di macchine accalcarsi nelle strade di Kabul per tentare di fuggire dall’avanzata dei Talebani e persone arrivare ad aggrapparsi al motore di un aereo, perdendo la vita, pur di fuggire.
Tutto questo è arrivato ai nostri occhi e alle nostre orecchie solo ora in tutta la sua violenta disperazione, eppure già stava accadendo silenziosamente ancora prima che il mondo se ne accorgesse. Anche in questo caso, crediamo che a dover raccontare quello che sta accadendo siano i protagonisti di questa storia, come Gholam Najafi.
Gholam Najafi è uno scrittore e rifugiato afghano, fuggito dal suo Paese a soli 10 anni, nel 2000. Suo padre, pastore, è stato ammazzato dalle milizie talebane perché si rifiutava di unirsi a loro. Gholam è arrivato in Italia e, a Venezia, si è costruito una nuova vita. Tra le altre cose, Gholam è anche un testimone del nostro progetto per le scuole “Finestre: storie di rifugiati” che mette al centro il racconto di chi, la migrazione forzata, l’ha vissuta sulla propria pelle. Dopo vent’anni dalla sua partenza è tornato in Afghanistan a giugno per cercare dei documenti che provassero la sua nazionalità afghana.
Nelle pagine del suo diario, pubblicato sul sito di edizioni la meridiana il 17 agosto, Gholam racconta ciò che ha visto con i suoi occhi:
“Le giovani donne, ragazze che fino a ieri l’altro percorrevano la mia stessa strada andando all’università di Herat o di Kabul o ancora in altre città amate da me, oggi, 27 luglio 2021, vedono le vie bloccate dal feroce nemico, le ragazze sono chiuse in case a guardare il cielo da dietro le finestre delle loro stanze, già allontanate da scuola. Da quelle case sentono l’arrivo del nemico, si tappano le orecchie e in silenzio scrivono il loro diario e sa il cielo se un giorno si potranno leggere queste loro righe vissute nelle ore più crude”
“Non avevo sentito parlare chiaramente dell’arrivo imminente dei talebani fino a quando non sono arrivati nel mio villaggio natale, quel villaggio di cui ho parlato in ogni mio libro ma in modo sempre più sistematico ne Il mio Afghanistan (edizioni la meridiana, 2016). Allora ero un bambino. Un pastore. Non sapevo leggere e scrivere. Non capivo. Ora assisto di nuovo al loro arrivo nelle città e nei villaggi, in questa estate del 2021. E capisco. E so scrivere quello che vedo“
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